Quest’anno in un giorno di metà estate è mancata all’età di 90 anni la filosofa Ágnes Heller. Ci ha lasciato mentre nuotava nel Lago Balaton nella sua Ungheria.

Come mi ha raccontato in uno dei nostri incontri, nuotare per lei era una sorta di amato rito quotidiano; tanto che quando la invitavano a parlare a un convegno in giro per il mondo, lei accettava solamente a patto di avere la possibilità di farsi una nuotata, preferibilmente in un lago. Ricorderò sempre con grande tenerezza un suo tuffo nel Lago Maggiore dopo una lezione a Verbania che ho avuto il piacere di tradurre per il pubblico. È un’occasione unica quella di poter incontrare e condividere qualche ricordo con i “grandi maestri” che studiamo e amiamo.

Penso sia molto importante ricordare la figura di Ágnes Heller e soprattutto farla conoscere a chi non l’ha fin qui incrociata nel suo percorso di letture e di studi. Ágnes è stata una donna filosofa che ha attraversato e pensato il Novecento, e la cui filosofia ha molto da insegnarci in questo settembre in cui ognuno di noi – docenti, alunni o genitori – progetta e “si progetta” in questo nuovo anno di possibilità.

Proveniente da una famiglia ebrea ungherese, Heller ha vissuto sulla sua pelle sia il nazismo – suo padre morì ad Auschwitz quando lei era un’adolescente – che il regime totalitario comunista da cui fuggì rifugiandosi in Australia sul finire degli anni ’70. Heller ha poi insegnato anche negli Stati Uniti sedendo alla cattedra intitolata ad Hannah Arendt, sua “compagna intellettuale”.

Heller è stata una prolifica intellettuale: la sua opera spazia dalla filosofia politica alla filosofia morale, da saggi dedicati alla condizione della modernità a libri sul concetto di bellezza e sul teatro… In parallelo alla sua attività filosofica, non ha mai rinunciato a partecipare al dibattito pubblico sui grandi temi del presente. Il suo impegno civico si è espresso negli ultimi anni soprattutto nell’opposizione alla deriva autoritaria nel suo paese.

La questione filosofica del pensiero di Heller che mi sta più a cuore è quella che ha inizio con una semplice domanda: “le persone buone esistono – come sono possibili?”. Per rispondere a questo interrogativo, che può a prima vista sembrare di poco conto, la filosofa ha scritto tre libri (Filosofia morale, Etica generale e Un’etica della personalità) che formano la cosiddetta “trilogia della morale”.

Punto di partenza imprescindibile di questo percorso filosofico, è la riflessione sulla condizione umana. Secondo la filosofa ungherese infatti, ognuno di noi è frutto di quelli che lei definisce gli “a priori”: un “a priori genetico”, che si riferisce alle caratteristiche genetiche di cui ogni individuo è dotato per via ereditaria, e un “a priori sociale”, che indica invece il mondo di rapporti sociali in cui ciascuno di noi nasce e cresce. Heller ci fa infatti notare che noi non scegliamo di nascere, ma ci troviamo “gettati” nel mondo, anzi, in un mondo particolare segnato dai nostri due “a priori”.

È proprio grazie a questa casualità, tuttavia, che prende forma la nostra libertà. La “consapevolezza della contingenza”, ovvero la consapevolezza di essere frutto di quella che potremmo definire una “non scelta”, apre infatti all’individuo la possibilità – e in un certo senso anche il dovere – di scegliere. Il singolo deve scegliere come disegnare la sua vita proprio a partire dalle condizioni in cui si trova. Heller utilizza un’espressione bellissima per parlarci di questo; ci dice infatti che compito di chi vive una vita autentica è quello di “tramutare la contingenza in destino”, ovvero di assumersi la responsabilità della propria esistenza accettando se stessi e compiendo delle scelte coraggiose che ci definiscano.

L’originalità della trilogia della morale e in particolare dell’ultimo volume Un’etica della personalità risiede a parer mio nel fatto di parlare della bontà come di una scelta, e addirittura di una scelta esistenziale, che definisce e caratterizza la vita di chi la compie. Buona è infatti la persona che sceglie di diventare una persona in grado di distinguere fra il bene e il male poiché secondo Heller ‹‹nel porsi la domanda, nel porsi la scelta fra bene e male, si è per definizione scelto il bene, […] perché abbiamo scelto noi stessi come persone oneste che dànno, in piena autonomia, cioè senza alcuna costrizione, la priorità alle ragioni morali su tutte le altre››.

La persona buona è dunque una persona che sceglie di distinguere tra il bene e il male ma lo fa declinando questa scelta secondo i tratti specifici della propria personalità. Nonostante le differenze di comportamenti e sensibilità, la persona buona è nell’essenza sempre riconoscibile poiché è colei che preferisce, secondo la celebre massima socratica, “patire un’ingiustizia piuttosto che commetterla”.

L’aspetto che considero dunque più interessante della trilogia della morale è il fatto che collocando la bontà all’interno della cornice della scelta esistenziale, la persona buona è per Heller colei che si prende cura dell’altro tanto quanto di se stessa. La persona buona è quindi la persona che sceglie se stessa scegliendo nel medesimo gesto il rapporto con l’altro.

Auguro a tutti noi che il pensiero di questa grande filosofa continui a ricordarci che se l’individuo si dedica, oltre alla rettitudine, alla fioritura dei propri legami personali e allo sviluppo delle proprie doti in talenti, egli può raggiungere la “vita buona”, che si apre alla dimensione della bellezza e della felicità.

 

Chiara Zancan

Docente di Filosofia e Storia

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