Tradizionalmente si attribuisce ad Achille il ruolo del protagonista dell’Iliade identificando Ettore come il suo antagonista. Ho sempre creduto (e spiegato) che, a mio avviso, i ruoli dovrebbero essere invertiti. Achille è un eroe egoriferito, è forte e determinato ma si muove sempre spinto solo da se stesso, dalla sua rabbia o dal suo dolore, comunque pensando solo a sé. E’ Ettore, invece, che combatte per gli altri, siano essi famiglia o regno, è Ettore che, pur consapevole del pericolo cui va incontro, lo affronta, sempre mosso dal desiderio di difendere qualcuno o qualcosa, armato della sua forza, sì, ma soprattutto del suo coraggio.
Ha paura di Achille, ma lo affronta comunque pur sapendo di andare incontro a morte certa. E per questo merita “…onor di pianto…finchè il sole splenderà sulle sciagure umane”. E se ci avviciniamo ad oggi, qualcuno dei più anziani forse ricorderà lo spaventoso incidente che è quasi costato la vita a Niki Laura al Nurburing, nel 1976. Dopo soli 42 giorni, miracolosamente e inaspettatamente, era tornato a correre, con il volto irrimediabilmente sfigurato e i segni del dramma vissuto sul corpo e probabilmente nel cuore. Altrettanto inaspettatamente, dopo qualche gara, si era ritirato durante la corsa perché aveva avuto paura consegnando il titolo mondiale all’eterno rivale James Hunt. Lauda diede una grande lezione di vita al mondo intero dimostrando che, dopo una sciagura e all’apice della sua carriera, aveva anche avuto il coraggio di avere paura. Già, proprio le sciagure che in questo anno “bisesto e funesto” come recita un vecchio adagio popolare, sembrano continuare a colpirci, gettandoci nuovamente in una condizione di precarietà e instabilità sia fisica e personale che economica che credevamo di avere superato. Manca, ai più, la rassicurante progettualità che ci scaldava il cuore nel programmare il nostro futuro, che si chiami lavoro o Natale. E questo ci sgomenta perché, per quanto già vissuto, ci fa ripiombare nel baratro dell’incertezza. Sarà pericoloso vedere i miei amici, o i miei nonni o i miei nipoti? Riuscirò a ripristinare la mia attività? Ma, ancor, peggio, guarirà quell’amico che ho visto entrare in ospedale, caricato da solo su un’ambulanza, senza nessuno dei propri cari vicino? E quando arriveranno i vaccini, saranno sufficienti per tutti? La lista delle domande, spesso senza risposta, potrebbe prolungarsi, ma è solo la manifestazione esemplificativa delle nostre paure. Paure che sono visibili nel comportamento di molti, ma che, se rimangono tali, non portano da nessuna parte. Il pericolo c’è e conseguentemente anche la paura. Un paio di giorni fa sono finalmente uscita dopo oltre un mese di isolamento totale per sottopormi al terzo tampone di controllo e non ho potuto fare a meno di osservare la gente per strada: decisamente più numerosa di quanto mi aspettassi durante un lockdown, a rappresentare una sorta di nuova, strana normalità di convivenza in una situazione anomala. Ma poi, guardando con attenzione, ho osservato il diverso atteggiamento dei miei concittadini. Certo, solo dagli occhi a causa dell’indispensabile presidio della mascherina, ma si sa…gli occhi sono lo specchio del cuore. Si guardavano cupi e diffidenti, preoccupati da chi si muoveva nella loro direzione; altri, soprattutto in ospedale, apparivano soli e smarriti, alla ricerca di una rassicurazione.

Molto spesso, quasi sempre, non ci sono le rassicurazioni inalienabili che vorremmo e che ci confortavano da bambini nelle parole dei nostri genitori. Difficile trovarne non solo in questo particolare contesto, ma in generale nella vita. Ciononostante siamo sempre alla ricerca di reti di protezione, di paracaduti che attenuino la nostra caduta. Peccato che in questo modo ci stiamo dimenticando che per cadere dobbiamo prima aver volato cioè, metaforicamente, aver provato ad essere qualcuno più che a fare qualcosa. Perché provare e non riuscire è meglio che non riuscire a provare. E questo mi ha riportato alla mente la recente condivisione, tenera e affettuosa, della prima gravidanza di una mia cara ex alunna, una giovane donna forte e determinata che nella sua vita ha affrontato seri problemi di salute, ma che, pur in questo momento pandemico, stretta ad un marito innamorato, ha deciso di scommettere sulla vita cullandone una nel suo corpo e nel suo cuore. Il coraggio dell’amore che vince sull’accidia della paura. Ecco la via. Ecco la risposta. Se abbiamo paura, ed è normale averne perché tutti ne abbiamo, che sia di un virus o di altro, dobbiamo sempre ricordare che solo affrontandola con serietà e coraggio potremmo sconfiggerla. Sembra un’indicazione obsoleta, ma forse per i più giovani non lo è. Sapere che avere paura non è un limite ma può trasformarsi in un punto di forza, dovrebbe spingerli, e spingere anche tutti noi, a dare di più perché è nella difficoltà che si parrà vostra nobilitate (si, lo so…sempre Dante). E se non possiamo, giustamente, abbracciare l’altro per paura di farci o fargli male o di fare del male a qualcuno vicino, possiamo, anzi dobbiamo trovare il coraggio di condividere con lui ciò che stiamo vivendo, dai nostri pomeriggi alle nostre fragilità, dal nostro sapere al nostro tempo. Perché ciò che è condiviso non muore mai ed è la ricchezza di ognuno e per tutti.

A proposito…sono ancora positiva…al virus, purtroppo, ma per fortuna anche alla vita.

Anna Fondi

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