Autismo= ripiegamento totale dell’individuo su se stesso. Così dice il mio dizionario Garzanti, che impolverato vive la sua esistenza sullo scaffale più basso della mia libreria.

E’ provocatorio, o forse addirittura pericoloso, attribuire il nome di quello che oggi è considerato un vero e proprio disturbo neurologico, a tutta l’umanità. Eppure, in un articolo in “La Repubblica” del 14 ottobre 2017, così definisce Michele Ainis il nostro mondo: “E’ l’universo autistico in cui siamo rinchiusi, anche se per lo più non ci facciamo caso.” Sebbene ormai in gran parte delle democrazie viga la libertà di opinione, oggi il dramma si ripresenta, e forse è ancora più problematico, perché profondamente radicato nella nostra società: non siamo più capaci di formare dei pensieri indipendenti, e di esporli al confronto con pareri che li contrastano.

A questo punto, individuato il nodo del problema, bisogna comprendere le sue radici storiche e politiche. L’autore chiama questo suo controverso intervento Ecco l’era della solitudine di massa. E’ interessante andare ad individuare il problema proprio nell’ultima grande rivoluzione sociale, forse precedente solo a quella di Internet, che l’umanità ha dovuto affrontare: quella contemporanea alla Seconda Rivoluzione Industriale, durante la quale milioni di persone sono emigrate dalle campagne alle città, in cerca di lavoro e sostentamento. A quel punto, è avvenuto un fenomeno sociodemografico molto strano: si è formata la massa. Le persone hanno smesso di vivere in comunità ristrette, e hanno iniziato a vivere in città sovrappopolate. E, nonostante questo nuovo sviluppo avrebbe potuto fornire più opportunità di comunicazione e punti di vista diversi a ogni individuo, è avvenuto l’opposto. Le persone, manipolate dai nuovi, perfidi mezzi di comunicazione emergenti come la pubblicità, hanno iniziato a pensare tutte allo stesso modo. Non esisteva più il pensiero individuale, ma il pensiero della massa, monitorato, appunto, o dal Governo del Paese, o dalla stampa, dalla pubblicità, dagli audiovisivi, la cui arma a doppio taglio consiste nel differenziare ed omologare il pensiero comune.

Oggi, questi mezzi di comunicazione sono così vari e oppressivi che, automaticamente, ci troviamo nella stessa situazione post Rivoluzione industriale con, al suo posto, la fatidica Rivoluzione di Internet. Le idee, è vero, circolano liberamente, ma il costante rimbombo dei media che, inesorabilmente, presenziano nelle nostre vite, non ci lascia lo spazio e il tempo di pensare per conto nostro. E quindi, ci facciamo trasportare dalla corrente dell’opinione pubblica, ci affatichiamo al solo pensiero di informarci attivamente, e perciò evitiamo di farlo. Il risultato di ciò sulle nostre menti è un completo assopimento. Ci ritroviamo cosparsi di idee già espresse, storie già scritte, opinioni già confutate, e ciò che resta nelle nostre mani è un insieme di frasi che, ancora prima di essere scritte, sono destinate ad essere una ripetizione, una copia, di qualcosa di passato. Allora, perché tentare?

Ci dev’essere per forza una via d’uscita da questo incubo. Come per ogni cosa, anche in questo campo esistono delle eccezioni: donne e uomini che utilizzano questa spinta del passato per formare idee originali, ancora più elevate o, più semplicemente, idee magari già espresse in precedenza, che però ricontestualizzate nella cornice storica dei nostri giorni assumono una valenza e un senso completamente nuovi. Ad esempio, leggendo La storia della colonna infame di Manzoni, restiamo esterrefatti da quanto attuale sia la sua idea per cui, in tempo di pandemia, il Governo così come il popolo abbia bisogno di capri espiatori per sfogare la propria rabbia repressa su figure che, apparentemente, sono la colpa dei loro mali. Uno scrittore a noi contemporaneo potrebbe scrivere un intero romanzo su questo concetto, ambientandolo nel 2020. I suoi lettori rimarrebbero ammaliati da questa sua nuova idea, che in realtà appartiene profondamente a un noto uomo milanese dell’800. Questa espropriazione può essere conscia o inconscia, così come le idee che sto esprimendo in questo scritto potrebbero essere già state espresse da una donna londinese che ha vissuto la nascita del concetto di massa nel 1898. E’ sbagliato e pernicioso denunciare questi “plagi” di idee, a meno che l’autore in questione non ostenti esageratamente l’individualità della sua tesi.

Il concetto di base però, purtroppo, rimane. E con esso anche il pensiero che, in un futuro non troppo lontano, questa assenza di idee originali si farà sempre più forte, e ci si ritroverà in un mondo distopico in cui le uniche idee vigenti saranno quelle comuni e pubbliche.

George Orwell, nella sua opera prima 1984, immagina una società in cui qualsiasi pensiero personale è severamente bandito e punito. L’aspetto terrificante è che il Governo in questa società non si limita a bandire e punire i pensieri indipendenti, ma attua un lavaggio del cervello su ogni cittadino, fin dalla tenera età, cosicché ciascuno sia impossibilitato a pensare al di fuori dei criteri del Partito. Winston, il protagonista, si accorge di questa completa alienazione del popolo, e prova a ribellarsi. Orwell, però, non lascia scampo a nessuna speranza, per evidenziare la radicalità della sua distopia; così, nel tentativo di ribellarsi, Winston cade nelle mani del Governo, che sopprimono tutto ciò che c’è in lui di originale.

Personalmente, purtroppo, sento il peso di questa società confusionaria sulla mia mente. Soprattutto per quanto riguarda l’attualità politica, noto sempre un’enorme difficoltà in me e nei i miei coetanei a formarci una nostra opinione, indipendente rispetto all’opinione pubblica e dei media. Sostengo anche però che, se vi è una speranza, questa la si può trovare nei giovani. Solo la gioventù, ormai, può essere capace di pensare liberamente e fuori dagli schemi vigenti. In questa speranza io vivo e cresco, cercando forsennatamente di fare spazio nella mente per ciò che ancora c’è di originale, prima che sia troppo tardi.

Anna Rescigno

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