Aprii gli occhi e mi ritrovai in una landa desolata da dove riuscivo a scorger solamente degli altissimi scogli frastagliati ed invalicabili che davano su un mare limpido, piatto, immobile. Era così strano… fino ad un attimo prima stavo portando avanti il mio turno di lavoro come inserviente al Museo MoMa, ricordavo solo di essermi girato un secondo verso un quadro e di aver chiuso gli occhi, poi improvvisamente mi ero ritrovato sdraiato in quello che non riuscivo a definire come un luogo esistente, ma non per il paesaggio, no, ma per il fatto che, tranne i miei, non c’erano sentori di movimento: non un’onda, non un filo di vento, oltre a me solo un’inquietante sensazione di immobilità fisica e temporale che coinvolgeva tutto ciò che vedevo a parte il mio corpo. Scorsi qualcosa in lontananza, delle figure bizzarre, cose che non avevo mai visto e mi incamminai per curiosare e per comprendere dove fossi e come ci fossi arrivato. Avvicinandomi mi rendevo conto sempre di più che ciò che avevo visto da lontano non mi era del tutto sconosciuto, anzi, mi era particolarmente familiare. Non sentivo nulla: il rumore dei miei passi sul terreno era inesistente, vedevo la mia ombra ma non provavo freddo, la mia temperatura corporea era perfettamente stabile, ma ciò che mi spaventava di più era il fatto di non riuscire a percepire il tempo che scorreva, sensazione che più arrivavo verso alle strane figure e più sembrava vicina e reale. D’un tratto mi arrestai. Non riuscivo più a chiudere gli occhi dallo stupore, per quanto in realtà volessi farlo con tutto me stesso, e il mio cuore prese a battere a una velocità tale che temevo si sarebbe fermato da un momento all’altro: un volto deformato, un albero spoglio dal cui unico ramo pendeva un orologio che si stava come sciogliendo, e altri due orologi esattamente come il primo. Ero spaventato a morte: mi accorsi di ritrovarmi in una versione inquietantemente reale di un quadro che vedevo ogni giorno a lavoro, “La persistenza della memoria” di Salvador Dalí, e potevo toccare tutti i suoi elementi sentendone le consistenze. Portai la mia attenzione sugli orologi che, esattamente come sembravano guardandoli da fuori, erano morbidi, molli, come se qualcuno li avesse sgonfiati. Decisi di salire sul parallelepipedo perché mi ricordavo perfettamente di due particolari che dal basso non riuscivo ad osservare: la mosca e l’unico orologio solido composto e allo stesso tempo sotto l’attacco delle formiche. Il primo insetto era immobile, non produceva alcun rumore e la sua ombra, anch’essa ferma, puntava le ore 12 sul macchinario che era in procinto di sciogliersi completamente, ma che rimaneva perfettamente statico ed in equilibrio. Non appena mi voltai verso l’orologio da taschino mi accorsi che qualcosa non andava: sentivo un rumore, un continuo masticare e qualche voce che parlava di tempo. Incuriosito mi avvicinai ad ascoltare meglio il solo suono che avevo udito da quando mi ritrovavo in quello che ero convinto fosse uno stupido scherzo della mia immaginazione. Salii sulla piattaforma circolare per osservare più da vicino la scena, ma improvvisamente mi sentii cambiare: mi stavo sciogliendo, rimpicciolendo, non riuscivo più a controllare alcuna parte del mio corpo perché proprio sopra a quell’orologio la concezione del tempo mi venne completamente a mancare e mi facevo sempre più piccolo mentre in realtà sentivo di essere irreversibilmente immobile. Guardai le mie mani diventare sempre più esili e la mia pelle inscurirsi, fino a quando non mi ritrovai a quattro zampe. Il mio torace si divise in due sezioni collegate e il mio collo si ritirò, unendosi alla prima parte del mio corpo. La metamorfosi era avvenuta e subito dopo, ritrovandomi vicino a te, mi accorsi di essere diventato un tuo simile, un essere inesistente nella realtà che fino a qualche momento prima conoscevo, un insetto intento a divorare il tempo, ed ora, dopo aver notato la finestra sospesa nel vuoto che dà su quello che prima era il mio mondo, vedendo la fila di turisti che passano uno dopo l’altro ad ammirare questo infero in cui sono capitato per sbaglio, mi rendo conto di una verità che non avevo mai contemplato: per questo i quadri ci parlano, ci sono delle vite all’interno.
Greta Rampoldi, 4°linguistico
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